Secondo una nuova analisi di Transport & Environment, i sussidi statunitensi potrebbero attrarre oltreoceano molte delle gigafactory pianificate in Europa. In Italia a rischio la metà della produzione. L'UE deve rispondere con incentivi accessibili e permessi semplificati.
Quasi la metà (48%) della produzione di batterie agli ioni di litio pianificata oggi in Italia rischia di andare incontro a ritardi, di essere ridimensionata o addirittura cancellata. Lo sostiene una nuova analisi di Transport & Environment (T&E). Emblematico, nota il rapporto, il caso di Italvolt: il progetto inizialmente previsto a Scarmagno vicino Torino potrebbe subire ritardi o venire ridimensionato a favore del suo gemello Statevolt in California. Al momento sullo stabilimento che dovrebbe sorgere in Piemonte persistono incertezze in merito ai finanziamenti e ai permessi necessari alla costruzione.
L’analisi dell’organizzazione ambientalista rileva come in tutta Europa sia a rischio il 68% della capacità produttiva di batterie agli ioni di litio prevista per i prossimi anni. A determinare questa situazione è soprattutto l’Inflaction Reduction Act (IRA), la legge approvata da Washington per attirare la produzione di tecnologie verdi. Secondo T&E, di fronte a questo scenario – che vede gli USA diventare particolarmente attraenti per la nascente industria delle batterie – l’Unione Europea deve mettere in campo strumenti comuni di sostegno finanziario con l’obiettivo di far crescere i volumi di produzione favorendo al contempo procedure autorizzative più snelle.
Utilizzando dati e informazioni pubbliche, T&E ha analizzato la situazione delle 50 gigafactory annunciate in Europa, valutando la solidità finanziaria dei progetti, il loro status autorizzativo nonché la certezza (o l’incertezza) di una localizzazione della produzione. L’analisi, infine, ha preso in considerazione l’eventuale presenza di legami tra gli Stati Uniti e le aziende che dovrebbero realizzare gli impianti. Lo studio diffuso oggi mostra come 1,2 TWh di produzione europea di batterie, in grado di equipaggiare 18 milioni di auto elettriche, sia attualmente ad alto o medio rischio di interruzione o delocalizzazione. Senza questi volumi di produzione, l’Europa non sarà in grado di soddisfare la domanda interna di accumulatori prevista per il 2030, dovendo quindi ricorrere ad ampie quote di import dai concorrenti stranieri.
“I piani industriali per la produzione di batterie nella UE sono sotto il fuoco incrociato di Stati Uniti e Cina”, dichiara Carlo Tritto, Policy Officer di T&E Italia. “Per competere efficacemente, l’Unione Europea deve dotarsi subito di una politica industriale verde incentrata sulle batterie, fornendo un robusto sostegno per aumentarne i volumi di produzione. Il Continente, insomma, è chiamato a reagire alle politiche protezionistiche americane e al dominio cinese degli ultimi anni per ritagliarsi un ruolo da leader in questo settore strategico. In caso contrario si rischia di accumulare un ritardo che potrebbe tradursi in una pesante sconfitta industriale”.
Di fronte ai possibili cambi di programma da parte dei produttori, spiega il rapporto, a rischiare maggiormente di veder svanire la capacità industriale attualmente prevista sono Germania, Ungheria, Spagna, Italia e Regno Unito. La gigafactory di Tesla a Berlino è quella in cui è a rischio la maggiore quota di produzione, dopo che l’azienda ha dichiarato che concentrerà la fabbricazione di celle negli Stati Uniti per sfruttare gli incentivi dell’IRA
Sempre in Germania, il rischio per la gigafactory prevista da Northvolt a Heide è classificato come medio, poiché l’azienda ha ottenuto solo una parte dei finanziamenti e non ha ancora avviato la costruzione dell’impianto. Nello scorso mese di ottobre, inoltre, l’amministratore delegato di Northvolt ha dichiarato che potrebbe ritardare il progetto per dare priorità all’espansione negli Stati Uniti.
Anche la gigafactory di West Midlands, nel Regno Unito, deve ancora trovare un investitore forte se vuole evitare il destino fallimentare di Britishvolt. Risultano incerte, infine, le sorti dei progetti di InoBat in Serbia e in Spagna, almeno da quando l’azienda ha ottenuto incentivi per una joint venture con un’impresa statunitense nello Stato dell’Indiana.
Secondo BloombergNEF, la quota europea di nuovi investimenti nella produzione di batterie agli ioni di litio su scala globale è scesa dal 41% nel 2021 ad appena il 2% nel 2022. Contemporaneamente, gli investimenti in batterie negli Stati Uniti e in Cina hanno continuato a crescere e alcune aziende europee hanno già registrato un’espansione in America o espresso l’intenzione di volerla perseguire a scapito dei progetti continentali. Secondo T&E, la limitata capacità delle aziende di aumentare i volumi di produzione e la scarsa disponibilità di materie prime rendono la corsa alla fabbricazione di batterie tra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente un gioco a somma zero.
“La risposta dell’Europa dovrebbe rispecchiare quanto più possibile l’Inflation Reduction Act americano in quanto a focalizzazione degli investimenti, semplicità e visibilità”, ha aggiunto Carlo Tritto. “C’è bisogno di un fondo centrale accessibile a tutti gli Stati membri che dia priorità alla catena di valore della mobilità elettrica, ovvero ai veicoli e alle batterie, oltre che alle energie rinnovabili e alle smart grids. Per competere, l’UE deve dotarsi di una politica industriale solida incentrata sull’aumento della produzione e capace di premiare e accelerare i progetti ambientalmente sostenibili“.
Il 14 marzo la Commissione europea pubblicherà il Net Zero Industrial Act, parte della sua risposta alle agevolazioni fiscali e ai sussidi forniti dall’IRA per la localizzazione delle catene di fornitura di batterie negli USA. T&E chiede obiettivi di produzione, agevolazioni fiscali e sovvenzioni per aumentare i volumi industriali nel pieno rispetto degli standard ambientali europei. Secondo l’organizzazione, è inoltre necessario un programma green di “semplificazione” per snellire i processi di autorizzazione e approvazione dei progetti.
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